Quando si definiscono gli obiettivi di una campagna di marketing, ci si focalizza giustamente su conversioni e ROI (ritorno sull’investimento compiuto). Anche quando si centra quest’ultimo, la sfida più complessa per i business online, soprattutto per quelli meno strutturati, è riuscire a individuare il customer journey degli utenti che convertono.
Tale ricostruzione è importante per poter valutare quale canale performa meglio, quando l’azienda segue una strategia di marketing multi-canale. Potrebbe aver attivato, per esempio, una campagna Facebook, una Google ADS e delle campagne email, oltre alle attività SEO sulle SERP organiche di Google. In presenza di conversioni, in ottica di ottimizzazione degli investimenti, come facciamo a definire quale touchpoint nel percorso d’acquisto degli utenti ha avuto un valore maggiore? O, per dirla in modo ancora più semplice: a cosa diamo il merito se vendiamo?
La risposta a questa domanda non è per nulla immediata. Ci vengono però in aiuto i modelli di attribuzione. Vediamo quindi cosa sono, quali sono i più diffusi e come interpretarli nel percorso di raccolta e analisi dei dati, essenziale per ogni business online.
“Un modello di attribuzione è la regola o l’insieme di regole che determina il modo in cui il credito per vendite e conversioni viene assegnato ai punti di contatto nei percorsi di conversione. Per esempio, il modello Ultima interazione in Analytics assegna il 100% del credito ai punti di contatto finali (ossia i clic) che precedono immediatamente le vendite o le conversioni. Al contrario, il modello Prima interazione assegna il 100% del credito ai punti di contatto che avviano percorsi di conversione.”
Se un utente vede un nostro annuncio su Google, clicca e converte, il modello di attribuzione è piuttosto semplice. La cosa si complica se, prima di effettuare la conversione, l’utente segue un percorso più tortuoso, che passa da varie visite attraverso canali diversi e in giorni anche “lontani” tra loro. I modelli di attribuzione ci aiutano ad assegnare un valore a questi touchpoint, attribuendo il “merito” della conversione o a uno di questi, o distribuendolo in modo differente.
Una precisazione: anche se i modelli di attribuzione rimangono approcci validi ed estremamente utili, non possono dirci davvero tutto sui percorsi di conversione. Vi sono tanti aspetti che per forza di cose sfuggono ai modelli matematici, come per esempio l’esperienza utente, il contenuto del messaggio, il momento specifico dello stesso. La comunicazione con il cliente e le informazioni raccolte da quest’ultimo hanno per questi motivi un valore enorme (per approfondire, leggi anche il nostro post sulla Customer Retention).
Tornando ai modelli di attribuzione, vediamo quali sono i tipi esistenti e più diffusi.
Di seguito, i modelli di attribuzione più diffusi nel marketing (fermo restando che è possibile anche definirne di personalizzati).
Nel modello di attribuzione Ultima interazione, il 100% del valore della conversione viene attribuito all’ultimo canale con cui l’utente ha interagito prima di effettuare la conversione.
In questo modello viene ignorato il traffico diretto e il 100% del valore della conversione viene attribuito all’ultimo canale con cui l’utente ha interagito prima della conversione. Google Analytics si serve di questo modello per impostazione predefinita. Lo strumento made in Google è però in questi giorni al centro di una rivoluzione nel modo di gestire dati e conversioni (per approfondire, non perdere il nostro post su Google Analytics 4).
Qui il valore della conversione viene attribuito al 100% agli annunci su Google ADS e in particolare all’ultimo clic su uno di questi (e, dunque, su uno specifico termine di ricerca).
In questo caso il 100% del valore della conversione viene attribuito al primo canale con il quale l’utente ha interagito.
In questo modello, ciascun canale “responsabile” della conversione nel “viaggio” dell’utente riceve un egual valore.
In questo modello si assegna un valore maggiore ai canali più vicini a livello temporale alla conversione. Per esempio, il canale utilizzato dall’utente per atterrare su un sito il giorno prima della conversione, avrà una percentuale di attribuzione maggiore rispetto a quello utilizzato la settimana precedente (a patto, ovviamente, che ci si trovi di fronte ad accessi multi-canale).
Un modello misto tra ultima e prima interazione. Si assegnano valori di conversione più alti alla prima e all’ultima interazione (in genere il 40% per ciascun canale). I touchpoint intermedi si dividono invece il restante valore (in genere, dunque, il 20%).
Ecco un esempio, che segue lo schema disponibile nella guida Google sul tema. Un utente scopre il sito attraverso un annuncio visualizzato su Google ADS. Due giorni dopo torna sul sito stesso, però stavolta da un annuncio visualizzato su Facebook. Il giorno successivo effettua un’altra visita, stavolta veicolata da un’email. Il giorno stesso raggiunge il sito in modo diretto e effettua la conversione.
Vediamo dunque cosa deriva da questo scenario, in base ai modelli di attribuzione definiti sopra.
Il mondo del web è sempre più affollato. La pandemia ha spinto molte aziende a lanciarsi nel marketing digitale o a potenziarne gli investimenti. Anche le abitudini di acquisto degli utenti hanno avuto una spinta verso il canale dell’online. La vera sfida, soprattutto per i business meno strutturati, è riuscire a raccogliere e interpretare correttamente i dati relativi alle conversioni. Ovviamente a monte è necessario riuscire a convertire e andare a ROI, ma si tratta di un discorso che esula l’argomento di questo post.
I modelli di attribuzione sono un ottimo standard che consente in tantissimi casi di disporre degli strumenti metodologici e concettuali per ricostruire il customer journey degli utenti che acquistano i nostri servizi. Districarsi tra i modelli di attribuzione più adatti al caso specifico e raccogliere i dati in modo oculato sono le attività che fanno la differenza sulla “salute” di un business, soprattutto nel lungo periodo.
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