A maggio 2021 Google Page Experience diventerà una realtà con cui gli “addetti ai lavori” del mondo digital dovranno confrontarsi. Il nuovo algoritmo tiene in considerazione i Core Web Vitals, delle metriche che valutano un insieme di funzionalità di base di una pagina web, che influiscono sulla qualità dell’esperienza di navigazione dell’utente.
Essendo integrati nella SEO con particolari indicatori di UX, è fondamentale conoscere (e usare al meglio) questi nuovi fattori di ranking:
Analizziamo insieme il First Input Delay (FID) per scoprire come ottimizzarlo e facilitare ai visitatori l’esperienza di navigazione sulle nostre pagine, aumentandone le performance.
Il sito di Google dedicato ai webmaster, web.dev, spiega il First Input Delay (ovvero il ritardo della prima interazione) con un paragone efficace: le prime impressioni sono importanti sia quando si incontrano nuove persone sia quando si crea un’esperienza sul web.
Secondo il gigante di Mountain View, il FID è:
“una metrica importante per misurare la reattività del caricamento ed è incentrata sull’utente perché quantifica – in millisecondi – l’esperienza delle persone quando provano a interagire con pagine che non rispondono: se il valore risulta basso, è una garanzia che la pagina sia reattiva”.
La metrica misura il tempo che intercorre tra il momento in cui un utente interagisce per la prima volta con i contenuti di una pagina e quello che il browser impiega a rispondere a tale input: in altre parole, valuta il “ritardo” che si genera prima di ottenere risposta. Non vengono, al contrario, tenuti in considerazione né il tempo di elaborazione dell’input né quello impiegato per il conseguente aggiornamento dell’interfaccia utente.
E, allora, cosa viene considerato esattamente come interazione? Molteplici azioni che si basano sulla reattività, tra cui un clic o un tap su un collegamento, su un pulsante o su un menu a tendina oppure la validazione di un form. Non sono presi, invece, in considerazione lo scorrimento e lo zoom perché si configurano come azioni continuate. E se un utente non interagisce con il sito? Semplicemente non produrrà valori FID. Google ritiene buono un First Input Delay inferiore a 100 millisecondi, da migliorare quando si assesta tra 100 e 300 e pessimo se supera i 300 millisecondi. Suggerisce, poi, di raggiungere un buon punteggio, su dispositivi mobili e desktop, nel 75° percentile dei caricamenti di pagina.
Screaming Frog ha condotto uno studio su 20.000 URL: l’89% di quelli mobile e il 99% di quelli desktop avevano FID in linea con i parametri indicati da Google. Per i primi è stato riscontrato un ritardo di soli 56 millisecondi e per i secondi di appena 13 millesecondi.
Mettendo a confronto questi risultati con le posizioni in SERP, al momento, non è stata evidenziata alcuna correlazione significativa: non è, però, da escludere che la metrica FID inciderà effettivamente sulle posizioni nei risultati di ricerca di Google a partire da maggio 2021, quando l’aggiornamento nell’algoritmo diventerà operativo, e che, da allora, se ne potranno trovare interessanti nessi.
Google chiarisce che, per questo particolare indicatore, sarebbe bene testare gli URL e assicurarsi di raggiungere il 90°-99° percentile, a fronte del fatto che costruisce la prima impressione dell’utente. Per fare un esempio, se il tuo sito ha 100 pagine in indice (ovvero visibili in Internet e posizionabili in SERP dai motori di ricerca), almeno il 75% di queste – ma ancora meglio il 95%-99% – dovrebbe avere un FID inferiore a 100 millisecondi perché Google possa riconoscergli buone prestazioni nella metrica.
Il FID è una metrica da valutare “sul campo” poiché richiede che un utente reale interagisca con la pagina. È possibile, allora, misurarlo con i seguenti strumenti:
Si rivela utile, ai fini dell’ottimizzazione del FID, la considerazione del TBT (Total Blocking Time). Si tratta di una metrica relativa al tempo di blocco totale, misurabile con dati previsionali, che consente di evidenziare anche i problemi legati all’interattività: indica, in particolare, il tempo che intercorre tra la restituzione in display del primo contenuto (FCP) e il momento in cui il sito può rispondere a un input (TTI – Time To Interactive). Secondo Google, “migliorando il TBT, dovrebbero anche migliorare le prestazioni FID”.
Dopo aver analizzato, nel rapporto Core Web Vitals di Google Search Console, i gruppi di URL problematici, si può eseguire un audit delle prestazioni su Lighthouse o su PageSpeed Insights. Il primo fornisce dati di laboratorio sul TBT, il secondo attinge da Lighthouse, ma anche dal rapporto sulla UX di Chrome, i dati di sessioni reali.
Su PageSpeed Insights, poi, è possibile effettuare un controllo sui punteggi FID e anche consultare i consigli riportati nella sezione “Opportunità” per ottimizzare il TBT e apportare le prime migliorie.
Punteggio FID e opportunità, fonte: Page Speed Insights
Quelle che sono, o potrebbero diventare, cause di cattive prestazioni nel punteggio FID di un sito, sono perlopiù alla base dei problemi di velocità. Riuscire a migliorarli rientra nelle buone pratiche SEO. Vediamo insieme quali tenere in notevole considerazione:
Misurare la qualità dell’esperienza dell’utente ha molte sfaccettature e prevede interventi approfonditi e fondamentali. Se vuoi ridurre il tempo di inizializzazione del tuo sito ed eliminare i ritardi di input, ricogiti ad un’agenzia SEO per scoprire le tue opportunità di miglioramento.