
Prevedere i trend del content marketing non è mai semplicissimo, anche se rispetto al passato i dati e le statistiche ci aiutano a farci un’idea molto meno empirica. Il 2021 sarà l’anno che darà seguito alla grande accelerazione che abbiamo vissuto nel 2020. Non parliamo solo di accelerazione digitale, ma di una vera e propria reinvenzione collettiva e individuale che ci ha portato a riconsiderare i contenuti e la loro forma.
Le parole chiave che troverai in questa piccola guida sono tre:
- infotainment: ci siamo abituati a contenuti che, oltre a essere informativi, sono di intrattenimento. È il caso dei podcast, dei webinar live, delle stesse newsletter. Chi non conosce i codici dell’intrattenimento rischia di restare tagliato fuori, chi pensa che ci sia una netta cesura tra i contenuti aziendali e quelli personali, ha certamente sbagliato epoca;
- storytelling: il content marketing si spinge sempre di più verso una dimensione narrativa, seppur costantemente sostenuta dai dati. Nessun funnel può sopravvivere a lungo senza un racconto di marca e senza una condivisione di valori;
- blanded (o phygital): è un termine che avrai sentito spesso, soprattutto a livello di didattica. È un ibrido tra fisico e digitale e rappresenta in pieno l’anno che ci apprestiamo a vivere. Un anno che probabilmente inizierà con i webinar e culminerà con la più grande festa in piazza di sempre.
Ma forse ci siamo portati un po’ troppo avanti, nel frattempo diamo un’occhiata ai 7 trend del content marketing del 2021. E per restare al passo con tutte le novità, in un nostro articolo ti consigliamo anche i migliori eventi digital del 2021 a cui vale davvero la pena partecipare.
Indice
- Professional streaming
- Personal branding
- Podcast
- Mini videoclip
- Newsletter
- Intelligenza artificiale predittiva
- Branded entertainment
Professional streaming
Il 2020 è stato sicuramente l’anno dei webinar. Molti di questi sono stati inaspettati: nessuno poteva prevedere che avremmo assistito a eventi come il Web Marketing Festival – giusto per citare un esempio noto a tutti – in modalità online. Eppure, a causa della Pandemia e per merito dell’accelerazione digitale ancora in atto, ci siamo spinti su piattaforme ai più sconosciute fino a un anno fa: non solo Zoom, Google Meet, Microsoft Teams, l’evergreen Skype e GoToWebinar, ma anche BeLive.tv e StreamYard, che hanno permesso alle aziende di creare dei veri e propri talk con più ospiti. Questa è stata sicuramente la novità più rilevante, e lo spartiacque verso il 2021.
Segue Twitch, una piattaforma di live streaming di proprietà di Amazon, nata nel 2011 principalmente per gli appassionati di videogiochi: la sua ascesa oggi costringe aziende, agenzie e liberi professionisti a ripensare alla modalità dello stream. Facebook e LinkedIn sono social frequentati per lo più dalla Generazione X e da Millennials, cioè dai nati fra il 1965 e il 1995, che perdonano una qualità dello stream non eccelsa ripetendosi “Abbiamo sempre fatto così”; YouTube viene utilizzato perlopiù per l’upload di video. Al contrario, Twitch segna una svolta in tal senso. La Generazione Z (espressione con cui si indicano i nati dal 1996 al 2010) è molto demanding da questo punto di vista: prima di andare in diretta si assicurano di avere un ottimo microfono, una videocamera di qualità, una stanza insonorizzata; insomma uno spazio che assomiglia molto a uno studio televisivo o radiofonico. Probabilmente non tutte le agenzie e le aziende andranno su Twitch – non avrebbe nemmeno senso – ma tutti, come fruitori, ci abitueremo e pretenderemo live sempre più professionali, che coniughino intrattenimento e informazione (la parola d’ordine di cui sopra sarà infotainment) da guardare magari anche sulle nostre Smart TV e non solo dal pc di casa e dell’ufficio.

Personal branding
Il termine non è una novità, anzi. Di personal branding si parla da anni, e su come alimentarlo sono stati scritti libri, saggi e articoli molto interessanti. La novità è che per molte aziende diventerà una vera e propria leva strategica, oltre che un’estensione del calendario editoriale. Realizzare post social per i profili LinkedIn dell’AD, del direttore marketing, del responsabile comunicazione e di altri ruoli strategici all’interno dell’impresa ha un duplice scopo: aiuta a far crescere la reputazione di professionisti che spesso, visto il ruolo che ricoprono in azienda, non hanno il tempo per curare i canali personali; uniforma il tone of voice dei manager a quello del brand, in vista di uno o più obiettivi comuni.
Immagina che l’impresa in questione voglia puntare molto sulla sostenibilità: far parlare il proprio AD di questa tematica è il modo migliore per creare hype sul tema. O ancora: l’impresa punta sulla diversity. Avere un responsabile HR che, nei propri post, scrive di quanto sia importante abbattere il salary gap è strategico. Vale sempre la regola aurea della comunicazione: tutto si può studiare, pianificare, raccontare. Ma non si deve manipolare la realtà. Un direttore marketing che parla di ambiente in un’azienda che non fa la raccolta differenziata (tanto per utilizzare esempi chiari) è controproducente. Alcune agenzie di comunicazione si stanno specializzando in questa materia: seguire il personal branding dei manager è molto impegnativo e richiede competenze di ufficio stampa, PR, social media, community management e visual storytelling. Oltre alla competenza principale: saper trovare l’angle giusto per posizionare un leader all’interno della strategia di impresa.
Podcast
Come per tutti i trend, se ne parla da anni, ma nel 2020 la crescita è stata notevole. Se isoliamo il periodo del primo lockdown, che ha evidenziato picchi notevoli negli ascolti dei podcast, la curva di interesse è cresciuta ugualmente a doppia cifra rispetto all’anno precedente.
Anche in questo caso, va detto che gran parte del merito è da attribuire alla qualità dei prodotti: Spotify, Amazon (con Audible) e Storytel si sono mosse molto bene, cercando di creare format effettivamente fruibili dalle persone: un mix di formazione, educazione e soprattutto intrattenimento. Quest’ultima parola ritorna spesso, perché dal momento che la fruizione dei contenuti è sempre più ibrida (si ascolta per lavoro, ma anche per piacere) è fondamentale saper raccontare. Ecco perché lo storytelling non solo non è morto come qualcuno vuol far pensare, ma è diventato necessario.
In Italia siamo ancora indietro rispetto all’America, dove i podcaster sono delle vere e proprie celebrità, ma si aprono spazi interessanti in tal senso perché paradossalmente l’esplosione dei video, delle live e dello streaming ha definitivamente creato un solco tra chi preferisce una modalità di racconto visiva e chi invece predilige lo strumento più antico del mondo (della comunicazione): la radio. E se in radio, per motivi editoriali, è molto difficile trovare spazio per approfondimenti, racconti, monologhi – hai presente quello di Radiofreccia? Sì, proprio quello – i podcast possono riprendersi quello spazio che nel palinsesto di una radio non c’è più. E possiamo dire definitivamente che “Video didn’t kill the radio star”.

Mini videoclip
Possiamo chiamarli tranquillamente Instagram Reels o TikTok Stories.
Si tratta di video divertenti, da condividere con chiunque: si registrano e si editano video multi-clip di 15 secondi con audio, effetti e nuovi strumenti creativi. Se il 2016 è stato un anno molto importante per il passaggio dal feed alle Stories, con lo sdoganamento di contenuti leggeri, destinati a non essere più disponibili dopo 24 ore, il 2021 segnerà un altro passaggio molto importante: sapere editare contenuti video, seppur con strumenti molto semplici da usare e già forniti dai social in questione, non è da tutti. Ci vogliono creatività, ingegno, un buon occhio, un discreto orecchio e conoscenza dei canoni comunicativi della generazione Z. Che oltre a saper usare i social – è una cosa scontata, ci sono praticamente nati – sa esprimersi con linguaggi che vanno oltre le parole e le fotografie.
Potranno continuare a comunicare le aziende senza iscriversi a TikTok o senza fare Reels su Instagram? Assolutamente sì, ma quello che dovranno considerare è che questa modalità espressiva, molto presto, verrà richiesta anche a loro. Assumere una ragazza o un ragazzo della Generazione Z potrebbe essere un’ottima idea.
Newsletter
Ancora newsletter? Ma non ne abbiamo la posta piena? Probabilmente sì, ma non parlo di quelle newsletter piene di offerte commerciali, quelle dalle quali ci disiscrive dopo tre invii.
Vale anche in questo caso la regola del podcast, dei live, dei branded content: vince il format. Come per un programma televisivo, per prima cosa bisogna avere un’idea che funziona. Una buona newsletter si aspetta come si aspetta la lettera di un amico. Arriva puntuale, arriva con tempi cadenzati, ma non troppo spesso. Non è invadente, informa ma senza essere un elenco infinito di eventi, è personale e personalizzata. Certo, stiamo facendo content marketing, quindi senza fare troppi giri di parole fa parte di un funnel.
Ma se nel 2020 siamo stati esposti a una serie di contenuti informativi, legati principalmente al concetto di sopravvivenza, nel 2021 dovranno tornare valori più alti e ispirazionali. Forse fa sorridere che nell’anno dei Reels, dei podcast e dell’intelligenza artificiale, abbia tanto peso la forma epistolare (perché di questo si tratta). Eppure, se da un lato la newsletter rappresenta la rivincita del testo – per anni costretto a essere strumento di persuasione, anziché di racconto – dall’altro è un’ulteriore dimostrazione che il content marketing va sempre di più nella direzione dello storytelling: si legge per “sentire”, non solo per recepire una serie di informazioni. A quelle, in questo 2020, siamo stati fin troppo esposti.
Intelligenza artificiale predittiva
Prima della Pandemia, l’intelligenza artificiale era già uno dei trend tecnologici più rilevanti: lo dimostrano la diffusione dei sistemi vocali Amazon Echo e Google Home. Abbiamo già parlato della forte, e forzata, accelerazione digitale del 2020. La grande quantità di dati che ognuno di noi ha messo in Rete – per comprare un prodotto, per vedere una serie tv, per lavorare o studiare – è servita ad “allenare” gli algoritmi di AI. con cui sono stati messi a punto modelli predittivi in grado di anticipare le scelte dei consumatori. Piattaforme come Amazon o Alibaba sono state capaci di affrontare l’enorme mole di acquisti generata durante il lockdown, proprio grazie all’intelligenza artificiale: difficilmente avrebbero potuto gestire gli ordini senza modelli predittivi a supporto.
Poiché, anche con il ritorno alla cosiddetta “nuova normalità”, i nostri comportamenti di acquisto rimarranno molto digitali, tutto il lavoro fatto nel 2020 sarà utile e potenziato nei prossimi anni. Il 2021 sarà dunque un anno in crescita per l’AI, dopo un 2020 in ascesa. Parte di questo aumento è dovuto a uno dei settori principali per l’AI: la sicurezza. I sistemi di riconoscimento facciale saranno sempre più utilizzati (anzi, migliorati per sopperire alle mascherine). Facendo molta attenzione a come saranno archiviati e usati i dati.
Molte imprese stanno dimostrando grande attenzione nei confronti del tema della privacy che, inevitabilmente, diventa a sua volta un trend molto importante per l’anno che verrà. Intanto il Governo italiano ha stanziato 800 milioni in 5 anni per lanciare un piano nazionale sull’intelligenza artificiale che comprenderà la creazione di un istituto per l’AI, investimenti nei super computer, sostegno alla ricerca sul mercato dei big data.
Branded entertainment
Piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video, Disney+ e Rakuten TV esistevano già, è vero. Eppure, nel 2020 il numero di fruitori è aumentato fino a raggiungere quote vertiginose. Anche in questo caso, i meccanismi predittivi di intelligenza artificiale hanno permesso alle case di produzione di far uscire più titoli di quelli previsti: banalmente, il lockdown ci ha portato a fruire di una mole di contenuti senza precedenti nella storia dell’on demand. Questo ha portato le aziende a considerare queste piattaforme anche come veri e propri strumenti di branded entertainment.
Se gran parte della vita del consumatore si svolge lì, perché non investire su questa tipologia di contenuto? E così si è iniziato a pensare a docu-film come quello su Sadio Mané, calciatore del Liverpool, sponsorizzato da New Balance. Ci sono poi incredibili esempi di branded content involontari, o dei quali almeno apparentemente non conosciamo la genesi. È il caso della serie TV Netflix La regina degli scacchi. Nelle tre settimane successive al debutto della serie, le vendite unitarie di set di scacchi sono aumentate dell’87% negli Stati Uniti e le vendite di libri sulle strategie sono aumentate del 603%. Numeri impressionanti e decisamente senza precedenti per un settore di nicchia che non aveva mai avuto un’impennata tanto significativa.

L’idea che un film o una serie possano avere un impatto sulla vendita di prodotti non è nuova – per informazioni rivolgersi a Nike che, con Ritorno al Futuro ha cambiato il corso della propria storia – ma per la prima volta possiamo contare sull’ausilio dei dati. Sicuramente molte aziende hanno preso nota.
E poiché molto difficilmente le abitudini dei consumatori cambieranno nel 2021, le piattaforme di streaming saranno un’incredibile opportunità per creare contenuti destinati a diventare narrabili e memorabili.
Ovviamente allocando un congruo budget su questo tipo di attività.
di Cristiano Carriero
Come hai visto, le possibilità e gli strumenti per fare un eccellente content marketing per la propria azienda sono tanti: è necessario individuare il mix vincente di contenuti per raggiungere il proprio target, catturarne l’attenzione e coinvolgerlo nel racconto di marca. Il team Senior di AvantGrade vanta una notevole esperienza in materia: contattaci ora per fissare una call e iscriviti alla newsletter con insights su SEO, SEM, Analytics e Digital Marketing!