Tra le metriche che ci vengono in soccorso nel misurare la qualità del traffico verso un sito web, una delle più importanti è la frequenza di rimbalzo, anche detta bounce rate. Il suo valore, anche quando elevato, va comunque interpretato in base alle caratteristiche e agli obiettivi di un determinato progetto web.
Il monitoraggio del bounce rate e i necessari interventi di ottimizzazione rientrano nella più volte ribadita importanza di prendere decisioni basandosi sui dati (le cosiddette attività di web analytics).
Vediamo, dunque, il significato della frequenza di rimbalzo, come calcolarla, quando è necessario intervenire per ridurla e alcune best practice di ottimizzazione.
Partiamo con una definizione: la frequenza di rimbalzo (bounce rate) è una metrica che indica la percentuale di utenti che visitano una sola pagina di un sito web. Si tratta, infatti, di visitatori che atterrano su una data pagina e “rimbalzano” via senza consultarne altre. Il bounce rate va dunque a definire le sessioni con interazione limitata a una sola pagina.
È una delle metriche più scivolose, in quanto è pratica comune guardare a una frequenza di rimbalzo molto elevata come a un problema, a prescindere. In realtà, dipende dalle caratteristiche e dagli obiettivi di un sito web. Facciamo subito un esempio (più avanti vedremo altre fattispecie di bounce rate fisiologico).
Mettiamo che un utente ogni mattina visiti la homepage del suo quotidiano online preferito per una panoramica sulle notizie del giorno, limitandosi a navigare esclusivamente quella pagina per poi uscire: è vero che si tratta di “rimbalzo”, ma in tal caso non è necessariamente indicativo di un problema.
Tale utente soddisfa ogni giorno il suo intento – una panoramica delle news –, senza che ciò debba necessariamente tradursi in ulteriori approfondimenti (magari perché ha poco tempo oppure perché consulta il sito da smartphone mentre viaggia in metropolitana).
Quando, invece, un’elevata frequenza di rimbalzo potrebbe essere il segnale di un problema? Quando la/le pagine di atterraggio sono pensate come “porte d’ingresso” verso altre aree del sito web.
Un esempio particolarmente calzante è un funnel, ma un elevato bounce rate può denotare un problema anche all’interno di un sito e-commerce. Se troppi utenti atterrati su una categoria o sulla homepage del nostro negozio online scappano via senza visitare alcuna pagina prodotto o ulteriore sezione, si tratta sicuramente di un aspetto che merita un’attenzione particolare.
Per approfondire, può essere utile consultare la guida all’ottimizzazione del carrello di un e-commerce.
Nella misurazione della frequenza di rimbalzo, ci viene in soccorso Google Analytics. All’interno dello strumento, il bounce rate viene calcolato come una singola sessione che attiva una sola richiesta verso il server Analytics, prendendo in considerazione due livelli:
Il tool made in Google è, però, al centro di una vera rivoluzione nella raccolta e restituzione dei dati (cambiamenti profondi che sembrerebbero al momento riguardare anche una metrica come la frequenza di rimbalzo). Ne trovate un approfondimento nel post dedicato al nuovo Google Analytics 4.
Anche in base a quanto già visto, si può rispondere che non esiste un dato riferito al rimbalzo che si possa considerare ottimale. Sul web, spesso, si trovano riferimenti a un bounce rate compreso tra 25% e 70%, come valore da considerare in modo favorevole.
Si tratta solo di una forbice che mette in evidenza come valori di frequenza di rimbalzo particolarmente bassi o alti possano essere segnali di un problema, ma il giudizio su tutto quello che sta in mezzo dipende dal tipo di progetto web.
Un rimbalzo del 70% può essere elevato se abbiamo a che fare con un funnel dove inviamo traffico in target, al contempo, può essere un dato che non denota particolari difficoltà nell’esempio del quotidiano online visto in precedenza.
Se Google Analytics ci consente di monitorare il bounce rate, esistono altri strumenti estremamente utili quando abbiamo bisogno di indagare eventuali problematiche nelle pagine di un sito web: si tratta dei tool di recording, strumenti che generano delle registrazioni del comportamento degli utenti (si può, per esempio, vedere nel dettaglio il loro mouse muoversi sulle pagine).
Se tramite questi strumenti notiamo, magari, che gli utenti non scrollano la nostra pagina web, potrebbe esserci un problema con l’headline o con l’impostazione di questa specifica sezione.
Esistono diversi tool di recording sul mercato. Due tra i più noti sono Hotjar e Smartlook. È bene ricordarsi di aggiornare le privacy policy prima di implementarli sul proprio sito web.
Vediamo ora le cause di un’elevata frequenza di rimbalzo, dividendole nei casi fisiologici e in quelli invece “patologici”.
Tra le situazioni in cui un elevato bounce rate non costituisce necessariamente un problema ci sono:
L’elevata frequenza di rimbalzo denota un problema reale che andrebbe risolto in caso di:
Un’ultima nota: in alcuni casi, “dati strani” relativi al bounce rate possono essere causati da una cattiva implementazione di Google Analytics: per esempio, quando la frequenza di rimbalzo risulta troppo bassa, verificare il corretto settaggio dello strumento è una buona pratica di ottimizzazione.
Nel momento in cui rileviamo un bounce rate troppo elevato (avendo appurato che non rientri nell’ambito fisiologico), vediamo cosa si può fare per ridurre la frequenza di rimbalzo:
La frequenza di rimbalzo, come tante altre metriche, necessita di interpretazione. Possedere dati, ma non disporre degli strumenti per capirli, può in tantissimi casi essere persino peggio di non averne nessuno. Le informazioni sono la base di una digital strategy davvero efficace, a patto però che alla raccolta segua il filtro dell’analisi.
Se ti serve aiuto per ottimizzare bounce rate e altre metriche strategiche per il tuo progetto web, fissa una call e definiamo insieme gli obiettivi. Articolo scritto in collaborazione con Francesco B.